La dottoressa Michela Maielli è direttore degli ospedali di Lucca e della Valle del Serchio nonché coordinatore della rete ospedaliera dell’Azienda USL Toscana nord ovest. Con lei abbiamo fatto il punto della situazione alla luce della nuova emergenza sanitaria che, in realtà, non è mai finita.
Dottoressa Maielli sia sincera, qual è l'attuale situazione dell'emergenza Covid-19 in provincia di Lucca e quali le condizioni dei vari presidi sanitari di Lucca, Versilia, Barga e Castelnuovo Garfagnana?
L'emergenza si sta riproponendo come a livello nazionale, quindi, il livello di allerta è elevato come nelle altre regioni. Il nostro territorio sta, però, rispondendo bene. In provincia gli ospedali Covid sono solamente, per ora, quelli di Lucca e Viareggio. Sia Lucca sia Viareggio hanno ancora posti letto vuoti nei reparti Covid, posti letto che vengono ”bilanciati” ogni giorno tra dimissioni e nuovi ingressi.
A proposito dell'ipotesi di aprire reparti Covid negli ospedali della Valle, la politica ha subito reagito dicendo che la decisione andava concordata prima con loro perché gli ospedali già sono piccoli e con poco personale. Cosa intendete fare?
Noi dobbiamo seguire le indicazioni delle ordinanze regionali per cui ci adeguiamo a quanto ci viene richiesto. Il tutto, comunque, è e sarà organizzato per step successivi ed in funzione dell'evoluzione del quadro epidemiologico.
E' vero, come lamentano numerosi medici, che i pronto soccorso vengono sistematicamente presi d'assalto anche da chi ha una semplice influenza?
Si questo è vero ed è sempre stato così. Ultimamente si assiste in realtà ad una riduzione degli accessi al pronto soccorso, ma la tendenza, purtroppo, è quella di rivolgersi al pronto soccorso anche per codici di minore entità, quindi anche per patologie non gravi che potrebbero essere gestite in altra maniera.
La gente non riesce a prendere appuntamento per il tampone perché i reagenti sono finiti e dice che la Asl non richiama e i ritardi sono infiniti o quasi. Colpa di chi si fa il tampone anche per un semplice raffreddore o colpa vostra che non avete previsto questa ondata di richieste?
Non è una questione di mia specifica competenza ma ricordo che la produzione dei reagenti è nazionale e come Azienda non possiamo in alcuna maniera controllare questo aspetto. Abbiamo fatto le richieste del caso, cercando di fare scorte nel periodo estivo, proprio per evitare che il problema si presentasse in questo periodo autunnale. Purtroppo le scorte si esauriscono quando la domanda di tamponi è ingente come in questo periodo. Le richieste iniziali delle Aziende sanitarie ed ospedaliere erano basate sui numeri della precedente “ondata”.
E' giusto pagare 80 euro a tampone secondo lei alle strutture private? I sindaci si sono lamentati. Non sarebbe necessaria una riduzione vista la enorme quantità delle prestazioni effettuate?
Noi come Azienda facciamo tutto quello che possiamo fare. Vengono eseguiti molti tamponi, oltre 3 mila al giorno, grazie ad un grande lavoro degli operatori; il problema è il ritardo nelle risposte, legato al numero altissimo di test effettuati ma anche, come detto, alla carenza di reagenti, che è un problema generalizzato. Non entro invece nel merito dell’attività svolta dalle strutture private.
E l'ospedale Noa di Massa come sta vivendo questa seconda ondata?
Come la stanno vivendo tutti gli ospedali della Asl, che lavorano in rete tra di loro ed ogni giorno programmano eventuali interventi di adeguamento. L’obiettivo è sempre quello di “bilanciare” ricoveri e dimissioni, così da poter garantire la necessaria risposta ospedaliera.
Come pensate di gestire il pronto soccorso del Noa dove esistono dei gazebo all'aperto. Arriva il freddo come pensate di fare?
Al di la degli interventi strutturali che potranno essere effettuati negli ospedali - al Noa come negli altri ospedali della rete - c’è da ribadire che anche l'ultimo dpcm del Presidente del Consiglio, proprio a causa dell’emergenza Coronavirus, non prevede la presenza dei familiari dei pazienti nelle sale d’attesa delle strutture di Pronto Soccorso. Ai parenti, salvo che non abbiano necessità di assistere pazienti fragili, viene quindi detto di lasciare un recapito per essere contattati successivamente. Questo proprio perché è vietato attendere all'interno della struttura.
Parliamo di terapie intensive: la gente vuol sapere se, effettivamente, sono piene oppure no?
Le terapie intensive sono a supporto dei posti letto di degenza. Il che vuol dire che servono per quei pazienti che si aggravano e che devono essere trasferiti in un reparto più intensivo. Con un numero maggiore di pazienti in degenza Covid, aumenta il rischio che per qualcuno di loro si debba ricorrere ai posti letto della rianimazione. Comunque al momento, nella nostra rete ospedaliera, ci sono ancora alcuni posti di terapia intensiva liberi.
Secondo lei che è a contatto quotidiano con la realtà del virus, c'è troppo allarmismo oppure siamo nuovamente come a marzo-aprile?
Direi che non c'è allarmismo. Semplicemente bisogna stare attenti ancora di più perché da un certo punto di vista questa fase può essere considerata anche peggiore: ci sono più persone contagiate rispetto a marzo-aprile, anche se molti soggetti risultati positivi al Covid sono al proprio domicilio o in altre strutture (alberghi sanitari, cure intermedie etc). Quindi bisogna fare attenzione all'utilizzo delle mascherine, ad osservare sempre le distanze di sicurezza ed a sanificare spesso le mani.
Di Covid si muore se si ha una certa età e con particolari patologie oppure anche i più giovani corrono il rischio? Sia onesta su questo punto.
Questa patologia è abbastanza particolare per cui anche i giovani sono a rischio se non di morte, certamente di compromissione di organi, per cui sia giovani sia anziani, lo ribadisco, devono prestare grande attenzione. Il virus può dunque avere conseguenze gravi anche su persone più giovani, lo stiamo riscontrando giorno dopo giorno nei nostri ospedali, anche se ovviamente il rischio è più alto per le persone anziane e con altre patologie concomitanti.
Se lei fosse chiamata a decidere quali misure adottare per cercare di fronteggiare questa emergenza che cosa avrebbe fatto e che cosa farebbe adesso?
Nell'ambito sanitario sarebbe necessario stata quella di avere più personale a disposizione per garantire
l'assistenza ai posti letti disponibili. Questo è ovvio, ma in questo momento è particolarmente complicato reperire medici ed infermieri, nonostante i grandi sforzi dell’Azienda. Sul fronte extrasanitario, è stata e sarà fondamentale la continua sensibilizzazione della cittadinanza a mantenere sempre le misure di protezione e distanziamento. Una certa caduta di attenzione nel periodo estivo ha sicuramente favorito una maggiore diffusione del virus.
Scusi dottoressa, ma dovevamo andare al mare con le mascherine?
Il problema non è il mare, ma mantenere le distanze di sicurezza ed indossare le mascherine quando si parla da vicino con le persone. Il problema è che qualcuno ha forse pensato che all'aria aperta la mascherina non fosse necessaria e in questo senso si è commesso un errore. Poi è chiaro che, se una persona stava da sola a prendere il sole, poteva togliersi la mascherina senza correre alcun rischio.
Secondo lei cosa ci attende?
Non so che dirle. Stiamo facendo il massimo ma credo che continuerà anche nelle prossime settimane un flusso continuativo di persone positive e il nostro tentativo sarà quello di riuscire, anche nel prossimo futuro, a mantenere l'equilibrio tra l'attività ordinaria e quella dedicata ai pazienti Covid. Cià significa, in poche parole, continuare a garantire il corretto funzionamento di tutta la macchina ospedaliera, rimodulandola in base alle condizioni che si presenteranno di volta in volta.
Inutile piangere sul latte versato, ma è indubbio che negli ultimi lustri la sanità è stata, sostanzialmente, smantellata a beneficio di una sorta di mordi e fuggi dove i pazienti dovevano rimanere il meno possibile ricoverati. Ora come si fa se anche il personale è ridotto all'osso e mancano specialisti e generici?
Sicuramente la sanità non è stata depauperata volontariamente. E' ovvio che i ”numeri chiusi” della facoltà di medicina ed altre decisioni di carattere nazionale hanno comportato una riduzione del personale disponibile. Si è trattato probabilmente del tentativo di mettere ordine in un sistema molto complesso; l’obiettivo era quello di fare in modo che tutti coloro che uscivano dalle facoltà avessero un lavoro, cosa che prima non accadeva (molti giovani medici erano senza occupazione), ma la difficoltà di reperire personale è adesso evidente.
Se prima il sistema sanitario sembrava comunque poter reggere, questa pandemia ha fatto emergere la necessità di un numero sempre maggiore di professionisti in grado di gestire una situazione così complicata.
Qual è la giornata tipo di una dirigente sanitaria come lei: immaginiamo che abbia appena il tempo di... respirare, si fa per dire...
Io mi alzo la mattina all'alba e alle 6.30 sono già al lavoro all'ospedale San Luca. Poi mi muovo e giro, in base alle necessità, sul territorio dell'azienda sanitaria da Pisa a Livorno, da Viareggio a Massa alla Garfagnana. Il tutto fino alle 20 o alle 21.
Riesce a mangiare? Ed ha tempo per la sua vita privata ed eventuali hobbies?
Non sempre ci riesco, spesso con i miei colleghi e collaboratori lo facciamo al volo, tra un impegno e l’altro. Però questo fa parte di un periodo difficile e dobbiamo adeguarci. Ed ormai è davvero pochissimo il tempo per la vita privata; non esistono più hobbies, ormai è il lavoro che è diventato, paradossalmente, un hobby.
Un'ultima domanda: è logico che se chiudiamo la gente dentro casa, teoricamente - ma molto teoricamente - dovrebbero limitarsi i contagi, ma si può andare avanti con questa specie di lockdown a singhiozzo che
devasta le menti e azzera le coscienze?
Il lockdown risolve nella prima fase la pressione sugli ospedali e riduce i contagi, per ovvie ragioni. Ma ripeto un concetto già precedentemente espresso: l’importanza dei corretti atteggiamenti. Se la popolazione tenesse un adeguato comportamento di protezione e distanziamento, sicuramente, questo aiuterebbe molto, forse anche ad evitare i lockdown.
Quindi, secondo lei è colpa sempre della gente?
No, certo che no. Non è colpa delle persone, ma questo è un virus altamente contagioso e bisogna stare iperattenti. Quando si arriva al lockdown lo si fa per ridurre la pressione sugli ospedali perché il rischio di ricoverare le persone è particolarmente alto e non possiamo permetterci di arrivare oltre un certo limite.
Finirà tutto questo?
Secondo me sì, come tutte le pandemie.
Quando?
Questo non glielo so dire.
Arrivare fino a primavera sarà molto duro.
Sarà duro perché gli operatori sono molto stanchi: hanno veramente dato il massimo durante la prima fase e stanno dando il massimo anche adesso e se non arrivano nuove risorse professionali sarà molto difficile per loro, perché ci si continua a basare sempre sulle stesse persone che sono veramente impagabili. Se la mia giornata è dura, quella di un operatore in trincea lo è cinquanta volte di più.
Coronavirus, Michela Maielli (Asl): "No ad allarmismi inutili, ma facciamo attenzione. Al S. Luca ancora posti disponibili anche in terapia intensiva"
Scritto da Redazione
Cronaca
05 Novembre 2020
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