È mancato un garbato ed elegante signore lucchese. Non l’ho mai sentito dire una parola sopra le righe, mai. Conduceva le danze con pacatezza e cortesia in ogni situazione, spesso silenzioso sembrava ascoltare, ma sono convinto che in realtà organizzasse i pensieri per il suo intervento successivo. Mi fregava sempre nelle conclusioni.
Avevamo un amico in comune e una volta l’anno ci trovavamo a cena in un podere sulle colline. Mai pietanze frugali, tutt’altro, che lui assaggiava con cura, ma senza appetito e lasciava nel piatto gran parte di quello che gli veniva servito. Poi ci prendeva in giro con garbo e illustrava le sue teorie su quanto fossimo cretini e irresponsabili nelle nostre ardite peripezie culinarie ed enologiche.
Apprezzava le mie cravatte, lo diceva sorridendo sotto i baffi, non ho mai capito se mi prendesse in giro oppure no, per certo non dava a vedere la sua avversione per la sciatteria, muoveva giusto un po’ la bocca all’ingresso di un abito stazzonato.
Una sera a cena a casa sua, dimostrò a tutti come si dovrebbe ricevere ed ospitare le persone invitate. Con squisita e raffinata gentilezza, c’intrattenne amabilmente, neanche le nostre rumorose rimostranze riuscirono a scalfire la sua imperturbabilità. Fu una serata che non dimenticherò.
“Perché sei il mio sindaco” diceva, ed io mi sentivo di esserlo davvero. Com’è vissuto se n’è andato, da amico silenzioso, confermando il suo tatto e la sua eleganza. Ci ha lasciato un signore vero, di quelli che non ne fanno più.