Ci eravamo conosciuti tanti anni fa. Doveva essere il 1991 o 1992. Noi, da poco cronisti e praticanti alla redazione lucchese del quotidiano fiorentino La Nazione, lui caporedattore centrale del prestigioso giornale di via Solferino, Il Corriere della Sera, dove, di lì a poco, avrebbe assunto la carica di vicedirettore. Lui, Giulio Giustiniani, giornalista prestigioso, di grande personalità e fascino, era lucchese, se così si può dire, di adozione mentre noi, da un anno o poco più e dopo aver chiamato personalmente il responsabile degli Interni Fabio Cavalera, eravamo diventati corrispondenti del suo giornale da Lucca e provincia. Con noi, ad esempio, c'erano, sulla costa, Marco Gasperetti allora al Tirreno e, più a nord, Vittorio Prayer. Era l'poca in cui il cartaceo andava ancora a mille e dove i corrispondenti del Corriere erano importanti quanto e, a volte, anche più dei giornalisti alle dirette dipendenze.
Tutti sapevano che Giulio Giustiniani aveva radici lucchesi e, infatti, capitava e capitava anche piuttosto spesso, che si riuscisse, da qui, angolo sperduto d'Italia, a piazzare oltre dieci tra articoli e notizie brevi al mese. Giulio era stato giornalista al quotidiano fiorentino per diversi anni, nato e cresciuto a Firenze, conosceva la città a menadito e lì aveva lavorato nella redazione locale prima di trasferirsi a Bologna per dirigere o quasi le sorti de Il Resto del Carlino, l'altro gioiello editoriale della famiglia Monti. Quando, poi, lo avevano chiamato a Milano nel tempio del giornalismo italiano, aveva mollato baracca e burattini ed era volato nel capoluogo meneghino. Aveva, tuttavia, sempre mantenuto un forte legame sia affettivo, ma non soltanto, con gli ex colleghi con i quali spesso si consultava.
Noi, a cui già all'epoca andava stretta la redazione lucchese e la cronaca locale, ci accorgemmo che le principali notizie dalla nostra provincia non erano coperte da qualcuno per il Corsera così, una mattina, addirittura dalla redazione lucchese, telefonammo presentandoci alle Cronache Italiane dirette da Cavalera e ci proponemmo in qualità di collaboratori. Fummo subito invitati a scrivere qualcosa appena se ne fosse presentata l'occasione e, di lì a qualche giorno, d occasioni se ne presentarono, addirittura, tre e per altrettanti giorni di seguito. Cosicché la nostra firma apparve, udite udite e potete immaginare con quale gioia, sulle pagine nazionali del quotidiano fondato da Luigi Albertini. La cosa suscitò le ire dell'allora responsabile delle province della Nazione Francesco Carrassi, il quale non ci aveva mai avuto in simpatia forse perché, a sua differenza, venivamo da una borsa di studio bandita dall'editore Andrea Riffeser e non dal classico viatico dei comitati di redazione. L'allora caposervizio Paolo Magli ci annunciò che a Firenze erano 'incazzati neri' e che il direttore responsabile, Roberto Gelmini che al Corrierone aveva lavorato, voleva incontrarci.
Con una certa comprensibile ansia ci recammo a Firenze dove fummo ricevuti e dove il direttore, dobbiamo ammettere, dopo avercele cantate, accettò che continuassimo a collaborare col suo ex giornale a patto che non dimenticassimo mai per chi lavoravamo. Rientrammo a Lucca e da allora ogni volta e accadeva spesso, che scrivevamo per il giornale milanese, Francesco Carrassi soleva dire che lo facevamo molto meglio che per la Nazione che ci pagava lo stipendio. Ricordiamo, in quei primi anni Novanta del secolo scorso, noi che, alla scrivani e davanti al Pc di vecchia generazione, impostavamo il doppio schermo grazie al quale potevamo contemporaneamente occuparci della cronaca locale e, allo stesso tempo, scrivere per Milano. Una goduria pazzesca, ma anche uno stress altrettanto terribile.
Il nostro sogno, inutile dirlo, era quello di migrare pardon, emigrare professionalmente ed occuparci di cose ben più serie che i parcheggi delle biciclette nel centro storico o amenità del genere. Fu così che, un giorno, riuscimmo a ottenere un appuntamento con Giulio Giustiniani che ci ricevette nella tenuta che la sua famiglia aveva alla Maulina e dove produceva, già allora, un ottimo vino. Trascorremmo con lui alcune ore nel corso delle quali parlammo un po' di tutto, della sua curiosità verso il giornale dove era cresciuto e del quale chiedeva informazioni, e della situazione politica. Ci domandò, ricordiamo bene, cosa pensassimo del fenomeno Lega di Umberto Bossi per il quale sembrava ben disposto. Dicemmo quel che pensavamo, cioè che non ci sembrava affatto qualcosa di intelligente e positivo e, a distanza di tanti anni, continuiamo a pensarla al medesimo modo.
A noi Giulio Giustiniani piaceva perché aveva le phisique du role, era, cioè, un giornalista diverso dai bolsi colleghi che eravamo abituati a incontrare. Fisicamente in forma, colto, nobile di origini e di maniere, si percepiva lontano un miglio che era un uomo abituato a godere delle cose belle della vita senza per questo essere meno votato alla professione che amava di più. A Firenze era diventato famoso - e non soltanto a Firenze - per essere stato colui che, negli anni Settanta, aveva scoperto e pubblicato il famoso elenco degli iscritti alla loggia massonica P2 di Licio Gelli, elenco rivenuto nella casa di Castiglion Fibocchi appartenente al Venerabile. Con quello scoop divenne tra i giornalisti più affermati e accreditati del tempo. Tra i suoi maestri e le persone che più stimava a Firenze, c'era il nostro mentore Alberto Marcolin, ex vicedirettore del giornale fiorentino, grandissimo, come noi, tifoso viola, e responsabile della prima generazione di borsisti che si erano aggiudicati il diritto di prendere parte alla formazione professionale avviata nel dicembre 1988 a Bologna.
Passarono i mesi e, in parte, anche gli anni, pochi invero, ma quando venimmo a sapere che Giustiniani aveva lasciato il Corriere della Sera per andare a dirigere il Gazzettino di Venezia, altro storico quotidiano, ci restammo parecchio male. Lo chiamammo per fargli gli auguri, così come facemmo quando approdò a dirigere il Tg de La7. Ci avevano raccontato e, siamo convinti fosse vero, di come, a Venezia, arrivasse in redazione su un motoscafo né più né meno di come, a Milano, girava con l'autista o in taxi. Lo immaginammo proprio così, intento a godere delle meraviglie della Serenissima lui che aveva la capacità innata e geneticamente immodificabile, del buongusto e del senso di appartenenza. Del resto la sua famiglia, per parte di madre crediamo, apparteneva alla nobiltà fiorentina da secoli.
Con il tempo, poi, ci siamo persi di vista e lui, poi, aveva lasciato Roma per trasferirsi definitivamente in Veneto, ma sempre mantenendo un legame stretto con la città di Lucca e arrivando a pubblicare anche un libro con la casa editrice per eccellenza, la Maria Pacini Fazzi.
Oggi abbiamo appreso della sua scomparsa. Era una bella persona, un giornalista di quelli che il lavoro non riusciva a consumare. Noi, almeno, lo ricordiamo così. Alla sua famiglia le condoglianze della redazione.