Mancano pochi giorni allo scoppio del cannone che da inizio al carnevale e noi,come da tradizione viareggina, ieri mattina siamo andati alla cittadella del carnevale per sbirciare tra gli hangar.
Il primo ad accoglierci è Alessandro Avanzini, che sfilerà con il carro di prima categoria “ Dotti medici e sapienti”. Piacevolissima chiacchierata, che ha spaziato dal carro, all’arte, fino ad arrivare al futuro del carnevale. Ecco come ci ha raccontato il suo carro “ è la famosa cura, collodiana o anche di Bennato e riporta ad un’iconografia ottocentesca, con l’Italia sdraiata in capezzale con tutti i paesi Europei intorno. La corona turrita è il simbolo ottocentesco dell’Italia che rappresentava le civitas italiane. Nel carro c’è questo burattino, che ha questa corona in testa e c’è un cinematismo che da il senso dell’instabilità. Il movimento dovrebbe invitare lo spettatore a leggere quello che c’è dietro questa corona gigantesca e cioè tutti i poteri istituzionali, il capitalismo, la magistratura, il mondo politico e il mondo accademico.”
Ci racconta l’arte del carrista “quello che ho imparato da mio padre è piegare gli strumenti alla finalità del carnevale. Io non ammetto limiti in questo lavoro. L’intelligenza sta nel non appiattirsi nel linguaggio della macchina e della tecnologia e riuscire ad avere sempre una certa poetica personale”. Riconosco in Alessandro Avanzini un tocco degli artisti concettuali, arriva perfino a dirmi che accetterebbe un carro fatto semplicemente di sterco di cavallo se si riuscisse a coglierne l’intelligenza che ci sta dietro in questo percorso di trasformazione, dalla materia grezza a una materia che deve emozionare. Concettuale, poetico e emozionale, ma anche concreto e attento al futuro del carnevale “vedo poca rabbia artistica nei giovani, il futuro è indubbiamente nei giovani e vorrei vedergli fare un’opera ardita, che scandalizzi.”
Parliamo per più di mezz’ora e fatico a venire via perché è veramente interessante ascoltarlo. Avanzini mi fa entrare immediatamente nel mondo dei carristi e mi regala gli occhiali giusti per osservare le opere che ho davanti. Saltellando da un hangar all’altro, mi riconosco un po’ nei bambini che incontro e insieme con Alfredo, che mi accompagna per fare le foto, andiamo a parlare con Tomei.
Luciano Tomei sfilerà con il carro di prima categoria “ il futuro? Un’ipotesi”. Quello che mi colpisce sempre del lavoro di Tomei, è un animo fanciullo che si riconosce nello stile e nei colori, una visione positiva e colorata del mondo. E’ lui a raccontarci la sua idea “ volevo dire e chiedere cosa lasceremo ai nostri giovani. Nel carro c’è rappresentato un giovane, un ragazzetto che apre la finestra e vede un mondo fiorito, un mondo di margherite. Questo è quello che penserebbe di avere nel suo futuro, ma in realtà dietro ci sono tre figure, che rappresentano il mondo delle ombre, che rappresentano tutte le cose negative che rischiano di deturpare il futuro dei giovani”. I colori , gli occhi grandi del bambino e le potenti spade che si conficcano nel carro, riportano l’immaginazione a un mondo fatato e magico. Osservo i volti delle tre ombre, che piegate su se stesse, aspettano il momento di innalzarsi. Seguo Alfredo che si muove scattando le foto dei particolari. Salutiamo e andiamo verso il prossimo carro.
L’accoglienza di Umberto Cinquini è unica. Scherzoso e canzonatorio mi sembra di conoscerlo da sempre. Mi racconta che la cosa incredibile di questo mestiere è che ogni volta si riesce sempre a trovare nuova energia “bello il carro del Bertozzi, perché in fin dei conti noi carristi siamo tutti un po’ folli che riusciamo a trovare l’entusiasmo anche se c’è una città che a volte si chiede perché lo facciamo il carnevale visti i problemi che abbiamo”. Gli chiedo del carro, lui sfilerà con il carro di prima categoria “ e quindi uscimmo a riveder le stelle”, due grandi volti che si scompongo in aria per ricomporsi in un bacio, ci sovrastano mentre parliamo. “ Il carro è dedicato a noi giovani, a noi adolescenti, che siamo stati maltrattati durante la pandemia” Ironico aggiunge “perché la verità è che la pandemia è stata colpa degli adolescenti che si baciavano. Questo è un carro dedicato a quelle persone che potranno ribaciarsi in pubblico. Prima erano semplicemente dei fantasmi che svolazzavano nel vento, irriconoscibili e mi auguro che si vada verso il riveder le stelle e quindi a baciarci”.
Mi racconta che il carro è un carro concerto perché sopra vi sono due band emergenti indigene che durante la pandemia hanno prodotto delle bellissime canzoni, dimostrando che qualche cosa di buono ha portato anche il lock down riscoprendo il gusto della noia che porta alla creatività. Le parole dei titoli e delle canzoni sono sparse sul carro come pubblicità e la città, da grigia e spenta prende colore. Mi stupisce con un’affermazione ardita “ abbiamo fatto il carro paraculo quest’anno. La satira politica e la satira di costume è morta. Anche la satira di denuncia è morta. Questo carro più che una denuncia è una costatazione.” Dopo questo racconto, ci confessa che “ l’altro anno me la sono presa troppo per il premio e è la prima volta che me la prendo per il premio e quest’anno non ci penso nemmeno. Ieri abbiamo fatto le prove della band e già quello per me è una vittoria. Ho messo le band sul tetto, come i Beatles, il tetto girerà e appariranno le persone dai palazzi. I ragazzi che suonano sopra i tetti, sopra le città e che riportano le emozioni e la musica.”
Alla fine si concede anche una polemica “ mi concedo anche una polemica visto che è tanto che non la faccio. Credo che una categoria come la mia sia fallita. Perché quando una città si propone a capitale della cultura e quando fanno gli incontri non c’è mai un costruttore del carnevale qualche cosa non torna. Fanno benissimo a fare questa cosa, ma se la mia categoria sta zitta e silenziosa non va bene.” Me ne vado quasi con una sensazione di unicità quando mi dice salutandomi “ sono arrivato ottavo con un carro che ho amato tantissimo, non mi sono lamentato, per la prima volta l’anno scorso ero convinto di vincere e non mi è mai successo. Mi sembrava il carro perfetto, mi è proprio dispiaciuto e questo mi ha fatto dire delle cose che forse era meglio se non dicevo. Questo mi ha fatto stare zitto fino ad oggi, quindi ritieniti fortunata, perché non ho rilasciato interviste fino ad ora”.Me ne vado sorridendo e poco mi importa se la sua affermazione sia vera o falsa, far sentire le persone speciali è sempre una bella cosa, quindi mi tengo cara questa emozione, guardo Alfredo e incuriositi ci infiliamo in un hangar con una grande formica con delle buffe cuffie antirumore.
Mi fa sorridere il pensiero che in questo momento mi senta proprio così, ma al contrario, mi sento come una piccola formica di fronte alla grandezza di questi carri. Sicuramente verranno criticati e ci sarà chi dirà che l’anno scorso erano più grandi, ma in questo momento a me sembrano immensi e scoprire il lavoro, la passione e l’amore che c’è dietro queste opere me le sta facendo diventare ancora più grandi. “La formica e la cicala” è il carro di prima categoria di Luigi Bonetti che arrampicato sopra un muletto sta finendo le ultime rifiniture. Gli chiedo cosa gli piace di più del suo carro e lui ridendo mi dice “ quello che mi piace di più di questo carro? La cicala. Lo so che la cosa che si vede di più è la formica, ma a me piace la cicala, perché io per il tema trattato do più importanza alla formica, ma la verità è che vorremmo essere tutti la cicala” .
Ci ritroviamo a parlare di uno dei problemi più grandi dei carristi da sempre e cioè il tempo. Quest’anno ancora più corto, visto che hanno iniziato a novembre. Parliamo del carro e mi spiega che ha ripreso la narrazione di Esopo, ma visto che la formica è una lavoratrice sarà il caso che sia dotata di tutte le misure per la sua sicurezza. Come spesso accade un tema importante, come la sicurezza sul lavoro, viene trattato con una poetica e una profondità come solamente l’arte sa fare. La formica oltre le cuffie antirumore ha gli stivaletti antifortunistici e indosserà un imbraco. Osservandola dal basso gli snodi dei movimenti sono impressionanti. Bonetti mi spiega che si alzerà in piedi con i pistoni alla base e che ruoterà. Muoverà tutte le zampe, la testa e gli occhi. Perchè un conto è vedere i carri accartocciati immobili dentro agli hangar, altra storia è vederli muovere pieni di figuranti lungo il corso! Per alcuni carristi, il movimento è parte integrante della narrazione. Un movimento non solo scenico, ma che racchiude anche il significato stesso del carro. E’ il caso di “ Homogeneity”, carro di prima categoria di Fabrizio Galli da un’idea della figlia Valentina. A parlarci del carro è proprio Valentina. “Sullo sfondo c’è uno stargate, che è l’occhio della storia. Dentro lo stargate verrà sviluppato tutto il percorso per arrivare a Homogeneity che è il futuro prossimo per arrivare a una parità di genere effettiva. Nello stargate si vede il percorso e la lotta che ha fatto la donna per arrivare alla parità, per essere dichiarata pari.”
Questa parità, ci spiega che si manifesta particolarmente con il movimento delle braccia delle due figure che sono sul davanti del carro, un uomo e una donna, le quali inizialmente cercheranno di schiacciarsi a vicenda, utilizzando proprio il movimento delle braccia per schiacciare l’altro, fino a che non arriveranno a un’unione e a “un’ Homogeneità”. Ardita la scelta dello stargate “all’inizio rimarrà chiuso, poi ad un certo punto si aprirà durante la coreografia e dentro la stargate vi sarà un video che racconta l’evoluzione della donna da qui fino a Homogeneity, non al presente, al futuro, perché nel presente non siamo ancora a livello paritario.” Dietro lo stargate si sviluppa tutta la città di Homogeneity. La cosa importante sono proprio i portali “che devono rimanere aperti, perché non ci deve essere una chiusura, ma un’apertura non solo fisica, ma proprio un’apertura mentale. Per questo i portali non si chiudono mai definitivamente, ma lasciano uno spiraglio di luce. E’ per dire che la via è sempre aperta e dobbiamo pensare alla parità.” La cosa che piace particolarmente a Valentina della sua idea sono proprio i portali, dal concetto alla realizzazione, ma poi mentre parliamo si lascia andare “il pezzo di cuore è la testa di lei”. Primo carro di Valentina, anche se lavora insieme al padre oramai da tanti anni, ma “vedere l’idea,esprimere se stessi, senza limiti, decidere i colori, le forme, è stata la cosa più preziosa di tutto il carro. La libertà. La libertà che si legge negli occhi di lei. Lei è proprio il mio stato d’animo. La felicità di lei è la mia felicità” . Con gli occhi lucidi di emozione ci allontaniamo continuando la nostra piccola avventura.
Prima vi avevo parlato dell’importanza dei movimenti che raccontano la storia del carro e che in Homogeneity sono rappresentati dal movimento delle braccia delle figure centrali, ma anche un altro carro ha portato nel movimento il racconto. E’ il caso di Jacopo Allegrucci con il suo carro di prima categoria “il sognatore”. “ Il carro rappresenta un grande Don Chichotte e rappresenta un po’ tutti noi. Tutto il popolo del mondo. Ho pensato che siamo tutti un po’ Don Chichotte, nel senso che siamo tutti dei grandi sognatori e cosa sogniamo? Sogniamo di tornare alla vita normale. Questo Don Chichotte ad un certo punto cadrà indietro e verrà rialzato dal popolo, nel senso che se tutti siamo insieme e siamo uniti, insieme riusciremo a rialzarci”. Tutto giocato sull’interazione dei movimenti che coinvolgerà in tre tempi diversi, prima i figuranti sul libro di Don Chichotte, poi i figuranti a terra e infine il pubblico. Grazie alle corde, che verranno calate, solamente tutti insieme, si riuscirà a rialzare il Don Chichotte caduto. Scherziamo sui particolari del carro, che sono veramente molti e veramente ben rifiniti come la piccola lucertola sul piede di Don Chichotte, fino a che non mi svela un piccolo segreto scaramantico “il particolare è un Burlamacco che io dal primo carro di seconda categoria metto. Cioè oramai da vent’anni. E’ sempre il solito, con la sua bandierina. Quest’anno è pronto e non l’ho ancora posizionato, non solo un portafortuna, ma un particolare che ci accompagna”.
Osservo le corde immobili e il Don Chichotte dormiente con la lucertolina sul piede. Non riesco a vedere il volto e non riesco a vedere i suoi occhi, mi domando cosa racconteranno, ma per quello dovremo aspettare il primo giorno di corso. Ci allontaniamo mentre entusiasta racconto a Alfredo l’idea di Allegrucci, lui, preso dalle fotografie, si sta perdendo tutti questi splendidi racconti. Entriamo nell’hangar di Lebigre e Roger che sto ancora immaginando i movimenti del Don Chichotte, ma nonostante la piccola distrazione, non riesco a trattenere un’espressione di stupore davanti all’immenso orso, o meglio orsa che è il carro di prima categoria “Reset”.
“La cosa che mi piace molto del carro è che risulterà questo rapporto emotivo, con i movimenti e tutto, questa connessione, tra la natura, che abbiamo rappresentato così e il futuro dell’umanità. Reset è questo. L’idea di ripartire con una visione di armonia per le persone e per la natura.” Elodie mi racconta come è nata l’idea e mi spiega che “ questo è un tipo di lavoro che implica per poterlo fare con soddisfazione una certa dose di ricerca e di sperimentazione. Anche semplicemente l’idea di utilizzare dei materiali come il cartone di recupero oppure cercare la materia che ti da meglio la sensazione di una pelliccia. Fino ad arrivare a combinare un concetto con un immaginario che non per forza si rifà a qualche cosa di noto, sono archetipi ma non combinati in maniera classica”. Sicuramente la sperimentazione dei materiali è altissima, ma conoscendo il lavoro dei Lebigre e Roger non posso non chiedergli di spoilerarmi qualche cosa della mascherata “la parte che sarà legata al gruppo che interagisce un po’ di più con il pubblico, che sarà guidata da Benji, è stata immaginata riprendendo dei personaggi dalla tradizione Inuit che sono gli sciamani, gli Angakkuq. Volevo fare degli elementi che cambiassero il volume del corpo. Abbiamo fatto i cappelli che sono ripresi dalle maschere antiche Inuit che erano i cappelli degli sciamani, che sono molto grossi. Sembrano cappelli, ma quando abbassano la testa sono dei visi e diventano dei personaggi. Volevamo un uso più interattivo del costume, sopratutto per i ballerini, che loro tolgono e usano, facendolo diventare un elemento scenografico.” Parlando mi ricorda l’importanza che da sempre hanno i bambini che purtroppo non possono più salire sul carro, ma che ci saranno “ se racconti un concetto come questo, non possono che essere presenti e saranno vestiti come lei” mi dice indicandomi la piccola Inuit al centro “e dietro abbiamo l’orsa polare, perché si parla sempre di orsi, ma questa è un’orsa”. L’impatto che avrà l’orsa sul pubblico sarà sicuramente interessante. Salutiamo con queste parole al femminile e vorrei finire di vedere i carri di prima e magari curiosare anche tra quelli di seconda, quando mi rendo conto che purtroppo alcuni hangar sono chiusi.
Dei nove carri di prima categoria ce ne mancano ancora due : “La festa dei folli” di Luca Bertozzi e “Manipulation” di Roberto Vannucci. I quattro carri di seconda categoria dormono tutti dietro le porte chiuse, tutti tranne uno “La regina del potere” di Marzia Etna e Matteo Lamanuzzi. Entriamo e immediatamente ci viene offerto un caffè. Matteo non è presente e mi fermo a chiacchierare con Marzia che ci tiene molto a dirmi che questa volta l’idea è di Matteo. “Il carro parla del potere. Il potere economico e abbiamo rappresentato una grande fortezza rossa, tratta dal trono di spade e all’interno della fortezza c’è il trono di spade. A sedere sul trono c’è Christine Lagarde, la presidente della BCE, che rappresenta il potere economico del mondo. A proteggerla c’è un grosso drago verde. Ad un certo punto il drago si abbassa, si apre il castello, il trono gira e appare lei con in mano un uovo d’oro e all’interno dell’uovo c’è la testa di Mario Draghi, perché anche lui ha fatto parte della BCE e anche lui, ha sempre un potere in mano.” I figuranti saranno vestiti da guerrieri e sul retro del carro ci saranno i personaggi della serie con i volti dei costruttori. Marzia Etna ha sempre però qualche cosa di speciale, un particolare e una sorpresa che stupiscono. Provo a fargli dire di cosa si tratta. Mi dice che si, stanno lavorando a una sorpresa, ma che me la dirà solo se stacco la registrazione. Fermo la registrazione e sgrano gli occhi alle sue parole, ma ho promesso e questa proprio non ve la posso raccontare!
Ci sarebbe ancora tanto da scrivere e da raccontare, il carnevale è un mondo con una lunghissima storia, fatta di arte, polemica, satira, ironia, emozioni e duro lavoro. Sono molto contenta di aver visto due giovanissimi come Matteo e Veronica, ai quali viene data la possibilità di esprimersi, sono contenta di essermi emozionata ascoltando i racconti e guardando le parole dei carristi che si riflettevano nel loro lavoro, ora non manca che l’ultimo passo, vedergli prendere vita lungo il corso mascherato.
Foto di Alfredo Scorza