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Scritto da Redazione
Cronaca
10 Dicembre 2020

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E ‘ una storia di abusi e di dolore quella di Arianna Dragai, giovane rumena di 28 anni, arrivata in Italia per un amore che fin troppo presto si è rivelato essere un incubo e che dall’inferno in cui quel falso sentimento l’aveva gettata, invece di essere aiutata dalle strutture che avrebbero dovuto proteggerla, è finita in un incubo ancor più grottesco, che alla fine è riuscito addirittura a premiare il suo carnefice e a trasformare lei da vittima in colpevole.

E’ la storia di una delle molte mamme in difficoltà di cui si occupava la cooperativa sociale Serinper, oggi al centro di un’inchiesta dei carabinieri che ha portato agli arresti i tre soci fondatori e responsabili e altre figure di spicco della pubblica amministrazione e della giustizia.

“Dal 2010 al servizio di persone con disagi sociali, relazionali ed affettivi. Offriamo accoglienza per gestanti, ragazze madri e donne in difficoltà, avviando percorsi di aiuto, accoglienza e inserimento ai bambini e alle mamme che si trovano in un momento di grave disagio della loro vita.”: questa è la sintesi della mission che si trova scritta sulla home page del sito di Serimper. Una definizione che sembra avere il sapore della beffa alla luce delle testimonianze che cominciano ad uscire, dopo la notizia dell’arresto dei tre responsabili della cooperativa. E non è un caso che molte delle vittime abbiano trovato il coraggio di denunciare adesso che sulla cooperativa è esplosa la bomba : la maggior parte di loro, oltre alla mancanza di mezzi per poter denunciare, sarebbe stata intimorita dalle minacce ricevute per costringerli al silenzio.

Come è successo, appunto a Arianna Dragai che dal 2014 al 2016 è stata ospite in due strutture gestite da Serimper entrambe a Stiava, Massarosa in provincia di Lucca. Arianna era arrivata lì dopo aver trovato il coraggio di denunciare il suo compagno, un ragazzo residente in provincia di Massa, padre della sua bambina che all’epoca aveva due anni, per averla picchiata e violentata. “ Sono stata io a chiedere di essere protetta alle associazioni in difesa delle donne vittime di violenza a cui mi ero rivolta e alle forze dell’ordine a cui avevo denunciato le violenze che avevo subito portando anche i referti medici del Pronto Soccorso.”. Arianna era arrivata in Italia due anni prima, a 19 anni. Il compagno lo aveva conosciuto su un social e dopo alcuni mesi di conoscenza virtuale lui era volato in Romania per conoscerla di persona e quasi subito Arianna era rimasta incinta. Una gravidanza a cui il giovane aveva cercato di opporsi in vari modi, tentando anche di farla abortire ma che poi, alla fine aveva portato loro una bambina. “ Ero molto giovane e inesperta – continua Arianna – e soprattutto non sapevo una parola di italiano. Ho seguito lui in Italia e sono andata a vivere con la sua famiglia, ma anche sua madre era molto ostile alla gravidanza. Dopo la nascita della bambina sono cominciate le violenze perché io avevo capito che non potevamo stare insieme e avrei voluto interrompere la relazione. Lui aveva problemi di alcool, droga e una dipendenza dal gioco d’azzardo. A un certo punto decisi anche di tornare in Romania con la bambina, che aveva solo il mio cognome, ma lui mi denunciò per rapimento, anche se non l’aveva riconosciuta, e venne a riprendermi con una pistola dicendo che se tornavo in Italia e gli permettevo di riconoscere la bambina avrebbe ritirato la denuncia. Per paura e ignoranza, io accettai e tornai in Italia. Non volevo più dormire con lui, tuttavia, e per questo lui cominciò a violentarmi.”.

“ Si prendeva quello che, secondo lui, era una sua proprietà”: sono queste le parole esatte usate da Arianna e fanno venire i brividi. Da queste violenze la ragazza resta di nuovo incinta, ma lui non si ferma nemmeno davanti a questo, come racconta Arianna, e la violenta e la picchia tanto da causarle un grosso trauma a una mano e delle emorragie all’utero che la costringono a dover abortire per sopravvivere. E’ nella visita al pronto soccorso per questi traumi che le vengono indicati gli operatori delle associazioni che aiutano le donne vittime di violenza e Arianna, nonostante il compagno le faccia capire chiaramente che se lei denuncia lui le porterà via la figlia, non si ferma e chiede aiuto. “ Non avevo nessuno in Italia e la mia famiglia comunque non era in grado di potermi aiutare. Non avevo un lavoro e nemmeno un posto in cui andare e per questo chiesi di essere inserita nei programmi di protezione per mamme con bambini e arrivai alla Serinper. Era il 2014. Venni inserita prima al Gap, Gruppo appartamento protetto, e poi trasferita nella casa famiglia Sonriso, entrambe a Stiava. E lì è cominciato un altro incubo. In quella struttura c’erano sette mamme e undici bambini e c’erano operatori durante il giorno e una custode che dormiva con noi di notte, anche se il tipo di struttura non lo prevedeva. Nell’arco del primo anno che ho passato lì hanno cambiato custode cinque o sei volte, assumendo sempre persone straniere. Tutte agivano con molta cattiveria nei nostri confronti. Noi eravamo trattate da schiave: dovevamo provvedere alla pulizia della camera in cui dormivamo e poi durante il giorno dovevamo pulire tutta la struttura, dalla cucina, agli uffici,alla sala, alla dispensa, alla parte esterna con compiti precisi che ci venivano assegnati. Se non obbedivamo o facevamo male il nostro lavoro, loro ci facevano brutte relazioni che venivano inviate ai servizi sociali. Le condizioni dentro alla casa erano disastrose. Spesso trovavamo topi in cucina e nel giardino. Ci costringevano a pulire, ma ci razionavamo i detersivi quindi le pulizie alla fine erano sommarie e per lavare i nostri vestiti, spesso dovevamo compranci i detersivi da sole. In casa c’era sempre freddo perché il riscaldamento era ridotto al minimo. E ci razionavano anche il cibo. La spesa la facevano sempre loro una volta a settimana con una di noi turno e compravano solo cose surgelate. Pesce e minestroni, soprattutto ma sempre in quantità insufficiente per tutti. Ricordo che c’erano otto pezzi di pesce da dividere tra quasi venti persone. I litigi per il cibo erano all’ordine del giorno. Le ragazze che avevano parenti che le venivano a trovare chiedevano sempre cibo per poter andare avanti.”. Arianna comincia a ribellarsi e a cercare di ottenere un minimo di rispetto e qui cominciano le minacce: “ Tamara e Enrico (Pucciarelli e Zoppi: due dei soci arrestati) mi dissero chiaramente che se non seguivo le regole che loro imponevano avrebbero fatto in modo di togliermi la mia bambina. Ricordo che più volte mi ripeterono che loro avevano dieci avvocati e che avrebbero fatto una pessima relazione su di me in modo da costringere il tribunale a togliermi la figlia.”.Al padre della bambina, che secondo Arianna aveva grossi agganci con figure della questura,viene assolto per insufficienza di prove ed ottiene il permesso di vedere la bambina in incontri protetti. Da qui parte un piano quasi diabolico nel quale il padre sfrutta ogni elemento per gettare colpe su Arianna, trovando la compiacenza degli operatori di Serinper: “ La bimba ha una specie di cisti su una mano che a volte si infiamma e sembra una ferita: il mio compagno lo sa ma non ha esitato a dire che si trattava di una ferita che avevo procurato io a mia figlia e a dare la colpa alla cattiva vigilanza delle operatrici minacciando di querelarli. Da quel momento tutte le relazioni su di me sono diventate negative con accuse anche inventate. Nella struttura ci sono sempre tanti bambini e come è logico non vanno sempre d’accordo. Una volta mia figlia aveva litigato con un’altra bambina ed io avevo interrotto il mio turno di pulizie per andare a dividerle e la custode ha fatto una relazione dicendo che io facevo del male a mia figlia. Per questo motivo, la mia bimba che aveva solo due anni venne messa a dormire con la custode per otto mesi. Ricordo che la sera la bimba urlava e non voleva staccarsi da me e dopo io la sentivo piangere e battevo i pugni sulla porta chiusa della camera della custode.”.

Il sistema della struttura funzionava, secondo quanto riferisce Arianna, sul mettere costantemente una mamma contro l’altra: “ Quello a cui puntavano coi loro metodi punitivi era che ognuna di noi facesse la spia su quel che facevano le altre. Se andavamo a dire agli operatori che una delle ospiti era uscita per incontrare i parenti o altro, ti permettevano di uscire con i tuoi figli. Se non lo facevi scrivevano brutte relazioni. Di me dissero che uscivo e lasciavo sola la bimba ma la sola volta che sono uscita è stata perché loro mi hanno costretta ad andare dal pediatra a prendere il certificato per la mia bimba che si era sentita malissimo la notte precedente, con febbre alta e bronchite e la custode prima aveva cercato di impedirmi di chiamare il medico e poi, dopo che avevo chiamato di nascosto la guardia medica che aveva visitato la bimba, non mi voleva dare l’antibiotico che tenevano nell’armadio delle medicine sempre chiuso a chiave.”. Di fatto, però, Arianna, da vittima che doveva essere protetta finisce ad essere guardata a vista e a dover lei avere incontri protetti con la sua bambina che dal 2016, quando lei è finalmente uscita dalle strutture Serinper, vive con il padre e la nuova compagna, sebbene, a detta di Arianna, non si trovi bene e voglia tornare con la mamma.

Arianna nel frattempo ha ricostruito la sua vita: ha fatto un corso per diventare OSA che si è pagata da sola, con l’aiuto di sua sorella che vive in Inghilterra, ed ha lavorato per due anni in una struttura per anziani. Ha trovato un nuovo compagno che la rispetta e le vuole bene ed è determinata a portare fino in fondo la sua battaglia per riavere sua figlia che al momento è in affido congiunto. Ed ha un sogno, per il quale ha detto di voler combattere con la stessa determinazione: vuole aprire una struttura per le mamme che come lei si sono trovate in difficoltà, per aiutarle davvero.

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