Cronaca
Viareggio, Federico non ce l’ha fatta: finisce in tragedia l’incidente di giovedì sul cavalcavia Barsacchi
Scompare il giovane studente universitario di 22 Federico Del Volgo: un altro enorme lutto cittadino a un anno e mezzo dall’incidente costato la vita a Emma e Leo
Marocchino arrestato per rapina alla Esselunga di Viareggio
Ennesimo episodio di violenza avvenuto all’interno di attività commerciali con grande ricettività di pubblico. In questa occasione un 40enne di nazionalità marocchina…
Viareggio, il Carnevale Bambino con l’InCanto dei rioni
Al Teatro Eden di Viareggio è di scena L’inCanto dei Rioni, lo spettacolo di canzoni, musica ed emozioni che vede come protagonisti i bambini e le bambine, interpreti…
Carnevale di Viareggio, la Lega incalza la Regione: “Rendere permanente il contributo alla manifestazione”
“Un Carnevale di Viareggio sempre più proiettato al futuro che negli anni ha saputo, nelle piccole e nelle grandi cose, crescere, rendersi autonomo e mettersi alle spalle il…
Lesioni, furti e danneggiamenti in Versilia: espulso marocchino pluricondannato
La polizia di Lucca ha accompagnato al centro di permanenza per il rimpatrio un cittadino marocchino di 45 anni, protagonista di diversi episodi violenti in Versilia. L’uomo, infatti,…
Valdicastello, scoperto un sito archeologico risalente al Paleolitico
Il primo sito archeologico risalente al Paleolitico Medio dell'intero comprensorio apuo versiliese è stato rinvenuto a Valdicastello Carducci. A darne notizia è l'associazione ArcheoVersilia che alcuni giorni fa,…
Travolto da un’auto, viene sbalzato nel vuoto da un’altezza di sei metri: grave giovane a Viareggio
Grave incidente giovedì pomeriggio a Viareggio, dove un’auto ha travolto un giovane di circa 20 anni, sbalzandolo fuori dalla carreggiata e facendolo cadere nel vuoto da un’altezza di…
Sorpresi a forzare la porta di un camper: la polizia arresta due marocchini per tentato furto a Viareggio
La polizia di Viareggio ha arrestato 2 cittadini marocchini di 30 e 32 anni per tentato furto all’interno di un camper. Nella notte tra lunedì e martedì i…
Marina di Massa, rischio ambientale dopo lo schianto della nave cargo al pontile: “Forse carburante in mare”
Molto ingenti i danni al pontile. La Procura apre un’inchiesta, verrà esaminata la scatola nera: in salvo l’equipaggio
Grossa nave cipriota alla deriva si schianta contro il pontile: paura a Marina di Massa
Per fortuna l’equipaggio sta bene ed è stato messo in salvo. Il mare mosso e il forte vento le cause dello schianto
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Mauro Culotta, da mistico qual è, direbbe: non è un caso. E forse ha ragione lui. Ogni cosa nella vita accade per una ragione (a noi del tutto sconosciuta).
Chiamalo destino, fato, karma. Poco importa. Quando Sara Maghelli e Ugo Bongianni hanno messo in contatto il sottoscritto con Mauro e Sara (la sua compagna), forse era già scritto nelle stelle che sarebbe poi finita così: che ci saremmo prima sentiti per telefono, poi conosciuti di persona ed infine entrati in perfetta sintonia - professionale ed umana.
Mauro ha una lunga carriera musicale alle spalle: ha vinto con i Gens il “Cantagiro” del 1972 con “Per chi”, ha accompagnato in tournée alcuni dei più grandi artisti della musica italiana (e non solo) – da Ivano Fossati a Mia Martini, da Ornella Vanoni ad Eros Ramazzotti, da Loredana Berté a I Ricchi e i Poveri – ed è considerato uno degli autori preferiti della grande, immensa, eterna Mina.
Stupisce, quindi, che una personalità del suo calibro – pur con tutta la sua umiltà – scelga di lasciare, per tre giorni, la ‘sua’ amata Genova – alla quale lo lega ancora il cordone ombelicale - per soggiornare un week-end in Garfagnana e raccontarsi, a cuore aperto, ad un giornalista di provincia con il pallino per la musica (possibilmente, nera).
Così, però, è stato. Questa penna è stata testimone di un racconto che attraversa cinquant’anni di storia della canzone italiana. Un piacere, un onore, un’opportunità non da poco. Grazie Mauro, grazie Sara.
Mauro Culotta, lei è uno degli autori preferiti della grande Mina. Cosa può dirci di questa intramontabile artista?
“Beh, prendiamo l’ultimo singolo - Un briciolo di allegria - con Blanco: il brano mi piace molto perché fa un po’ da ponte con la nuova generazione di cantanti, senza però scendere per forza a compromessi per entrare nel cuore dei giovani. Il pezzo è godibile e si inserisce perfettamente nel contesto del suo disco”.
A proposito del disco, lei è autore di uno dei brani in scaletta: Povero amore. Com’è nato?
“È nato – come spesso mi accade - in due momenti distinti: l’idea della strofa mi è venuta in mente un giorno, per caso, ascoltando un disco dei Fourplay (gruppo che fa smooth-jazz); l’inciso, invece, è arrivato alcuni mesi dopo, quando oramai avevo messo in stand-by il pezzo per dedicarmi ad altre composizioni. Molto probabilmente il processo creativo non si era mai interrotto dentro di me”.
Nel corso della sua lunga carriera, ha accompagnato sul palco grandi nomi della musica italiana. C’è una particolare tournée che ricorda con affetto?
“Sicuramente quelle con Mia Martini e Ivano Fossati. Mimì era molto selettiva alle prove, attenta ai minimi particolari: una volta passata la prova, però, potevi godere della sua massima fiducia. Concedeva ai musicisti molta libertà. Un po’ come nel jazz: ogni sera l’assolo poteva dilungarsi. Aveva un approccio quasi da jam session. E questo succedeva anche con Ivano Fossati. Entrambi mettevano a proprio agio i musicisti perché avevano una sicurezza di fondo che sapevano infondere negli altri. Come gruppo, invece, mi piace ricordare quello di Loredana Berté”.
Com’è cambiato oggi il mercato della musica?
“Parlo spesso di progresso-regresso: oggi c’è molta tecnologia, molta modernità negli arrangiamenti, però non mi rimangono – eccetto rari casi - le melodie. Sarà che vengo da una generazione diversa, ma non sento molto il genio. Tra i nuovi interpreti, comunque, mi piacciono molto Malika Ayane, Giorgia ed Elisa”.
Cosa ne pensa dei talent show televisivi?
“Penso che abbiano spinto la musica in un’altra direzione. Una volta le case discografiche sceglievano un artista e lo seguivano passo passo nella crescita, a prescindere se il primo disco vendeva o meno. Oggi il sistema è più usa e getta: se il disco non vende subito, l’artista sparisce per un po’ di tempo”.
C’è qualche musicista, invece, che segue con particolare attenzione?
“Sì, mi piace molto Luca Meneghello che – combinazione – ha a che fare con Mina dal 2005. Ci sono suoi assoli di chitarra in Aspettando l’alba (da “Selfie”, 2014) e in Inutile sperare (da “Caramella”, 2010). Anche Luca Colombo mi piace molto come chitarrista. Poi mi piacciono Lorenzo Poli Paolo Costa, entrambi bassisti. Tra i musicisti internazionali, invece, direi Nathan East e Marcus Miller tra i bassisti. Quest’ultimo l’ho visto due volte dal vivo proprio al Lucca Summer Festival”.
Ma cos’è che la attrae dello strumento chitarra?
“Il suono. La chitarra elettrica, negli anni ’60, portò una ventata di aria fresca nel panorama mondiale della musica. Ne rimasi folgorato. The Champs, The Shadows, The Beatles: questi i gruppi che mi hanno dato l’imprinting”.
Sta lavorando a qualche nuovo progetto?
“Continuo ad esibirmi dal vivo con il trio Bianchi – Culotta – Vandresi e come ospite nei concerti di amici. Abbino questa mia dimensione live con quella compositiva. Di recente è uscito un disco dei Gleemen – storico gruppo genovese fondato da Bambi Fossati – intitolato “Dove vanno le stelle quando viene giorno” che contiene due versioni psichedeliche di due brani dei The Beatles e che vede la mia partecipazione all’interno”.
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Giovedì 17 maggio 1973. Milano, cinquant’anni fa. Siamo nel cortile della Questura di Milano in via Fatebenefratelli e sono le 11:00. Alla presenza di una piccola folla e del ministro degli Interni, Mariano Rumor, viene scoperto un busto alla memoria del commissario Luigi Calabresi, ucciso un anno prima, secondo la verità giudiziaria, da un commando di Lotta Continua.
Terminata la cerimonia il ministro si allontana velocemente e subito dopo tra i presenti esplode una bomba a mano di tipo “ananas”, un ordigno a larga frammentazione di fabbricazione israeliana, che fa quattro morti e 52 feriti. L’attentatore, subito fermato, ostenta, tatuato sul braccio e ben visibile, il simbolo dell’anarchia. Si chiama Gianfranco Bertoli e dichiara di aver voluto colpire il titolare degli Interni in quanto presidente del Consiglio al tempo di piazza Fontana. Eppure, Bertoli, che imperterrito insiste nel professare di essere un anarchico individualista e nell’urlare a gran voce “fatemi fare la fine di Pinelli”, non la racconta giusta. Sulla sua figura e la sua storia a mano a mano emergeranno particolari inquietanti: per esempio, un passato da informatore del SID (Servizio informazioni difesa) e del SIFAR (Servizio informazioni forze armate); poi, l’appartenenza a Gladio, un’organizzazione paramilitare anticomunista istituita tra la CIA statunitense e l’intelligence nostrana; quindi, un tentativo, rintuzzato, di infiltrarsi nel PCI di Venezia; da ultimo, un viaggio, precedente la strage e mai spiegato, da Israele a Milano, passando per Marsiglia. E perché il SISMI (Servizio informazioni e sicurezza militare) penserà bene di distruggere l’intero il carteggio relativo al Bertoli? Tutto sembra concorrere all’idea di un camuffamento ideologico del sedicente anarchico, l’unico attentatore della stagione delle stragi arrestato in flagranza di reato.
E, a ogni buon conto, non sono solo gli anarchici ad avercela col politico democristiano. Fin dal 1971 hanno giurato di fargliela pagare cara soprattutto i seguaci di Ordine Nuovo, il gruppo più pericoloso della galassia neofascista degli anni Settanta, per punirlo del fatto che nel dicembre ’69, dopo il terribile attentato di Milano, da presidente del Consiglio, non aveva voluto dichiarare lo stato d’assedio, come nei piani dell’estrema destra di “destabilizzare per stabilizzare”; poi, sempre l’uomo politico democristiano, prima da ministro, poi da presidente del Consiglio, si era reso colpevole agli occhi degli ordinovisti per non aver fatto abbastanza, all’interno del suo partito e del governo, per scongiurare lo scioglimento dell’organizzazione nera poi avvenuto nel novembre 1973. E proprio a tale raggruppamento, secondo le successive deposizioni di esponenti di spicco proprio di Ordine Nuovo, sarebbe appartenuto il Bertoli.
Insomma, se proviamo oggi a rileggere la tragica vicenda dell’attentato alla questura milanese la troviamo tutta interna alla cosiddetta “strategia della tensione”: ovvero, un programma di contrasto al comunismo senza esclusione di mezzi che prevedeva disordini sociali forieri di un probabile/possibile intervento delle forze armate sugli scenari della politica. Come ha scritto di recente lo storico Miguel Gotor in quegli anni “una parte consistente degli apparati di sicurezza dello Stato, quelli militari (il Sid) e civili (l’Ufficio affari riservati) svolsero una sistematica azione di intossicazione, disinformazione, depistaggio, omessa vigilanza e, in alcuni casi, di fattivo sostegno logistico organizzativo per coprire la manovalanza neofascista autrice delle stragi.” Anche in questo caso siamo di fronte a un altro evidente eccidio nero.
L’appurerà l’inchiesta condotta negli anni Novanta dal giudice istruttore Guido Salvini che individua nell’ambiente della cellula veneta di Ordine nuovo le responsabilità sia della strage di Piazza Fontana a Milano il 12 dicembre 1969, sia di quella di via Fatebenefratelli del 17 maggio ’73, sia del massacro compiuto a Piazza della Loggia a Brescia il 28 maggio 1974: una lunga scia di sangue che segnerà in maniera indelebile la storia d’Italia della seconda metà del Novecento. Per l’attentato alla questura di Milano sarà condannato il solo Bertoli, ma non sarà possibile per la giustizia risalire ai mandanti: pure, la Cassazione giudicherà “indubitabile” che l’attentato sia stato pianificato proprio da Ordine Nuovo che aveva provveduto al suo addestramento a Verona. Sono gli anni Settanta, bellezza! E ai progressi della società civile - decentramento regionale; Statuto dei diritti dei lavoratori; Organi collegiali della scuola; Servizio sanitario nazionale; conferma della legge sul divorzio… - faceva da contraltare un imbarbarimento della lotta politica, tanto più aspra e priva di regole quanto più la sinistra e le forze progressiste si avvicinavano al cuore del potere politico.
Gianfranco Bertoli muore nel 2000 a Livorno, in regime carcerario di semilibertà, continuando testardamente a professarsi anarchico.